Alla (ri)scoperta dell’Islanda

Spesso leggo che andare in Islanda per fare fotografia sta diventando banale, non perché i luoghi siano tali, ma perché sembra che si vada solamente per una moda degli ultimi anni provocata dai social networks - anche se dai casi di turisti sprovveduti senza alcuna consapevolezza di dove si trovano suppongo che un fondo di verità ci sia - e perché si corre il rischio di essere ripetitivi e fare scatti che non aggiungono niente rispetto ai milioni già presenti che intasano le pagine dei siti web. Alla fine, chi vuole andarci ci va senza farsi tanti problemi, però in effetti basta una veloce ricerca su Skógafoss su Instagram o su 500px per rendersi conto che il 90% delle fotografie mostrate sono pressoché identiche.
È un tema complesso che si dirama all’infinito. Se da un lato c’è un impoverimento generale della qualità delle milioni immagini che vengono pubblicate quotidianamente e che alimentano a loro volta questo calo, dall’altro se una persona si emoziona di fronte a quella cascata perché non dovrebbe di fotografarla come vuole? Tanti semplicemente vogliono fare scattare per divertirsi o per immortalare un ricordo.
Anch’io ho fatto quella classica fotografia - tra l’altro, sempre in inverno - che allora mi emozionava e che invece oggi considero mediocre (mi riferisco alla mia), però capisco che è stata necessaria perché mi ha permesso di continuare ad appassionarmi alla fotografia e di crescere.

In questo terzo viaggio in Islanda da poco concluso ho rivisto con piacere alcuni luoghi che già conoscevo, ma soprattutto ho dato priorità al nord dell’isola. In passato non mi ero mai spinto oltre Snæfellsnes; stavolta invece ho proseguito lungo la Hringvegur per arrivare quindi al Myvatn, a Hverfjall, alla penisola di Tröllaskagi e alla famosa Goðafoss, che sognavo di vedere già la prima volta.
Nel tornare indietro mi sono fermato anche a Snæfellsnes prima di procedere lungo la costa sud fino a Vík e vedere finalmente per la prima volta la famosa e pericolosa spiaggia di sabbia nera, Reynisfjara.

Infine, l’ultimo giorno di viaggio ho realizzato un desiderio che covavo dentro di me da quando tornai dalle Highlands islandesi nell’estate 2022. Allora mi chiesi come doveva essere l’interno dell’isola al di fuori del periodo estivo, l’unico in cui è possibile visitarlo in autonomia. In realtà già intuivo quanto affascinante e allo stesso tempo brutale potesse essere grazie alle immagini di alcuni fotografi.
Se in estate la riserva naturale di Fjallabak diventa uno dei luoghi più stupefacenti che questo pianeta ha da offrire, in inverno il paesaggio si fa completamente candido e difficile da interpretare; almeno così è stato per me, dal momento che lungo la strada faticavo a riconoscere le montagne e i laghi con cui avevo familiarizzato la volta precedente.
Premessa: per entrare nelle Highlands in inverno bisogna affidarsi a dei tour organizzati con una guida, dal momento che l’area è inaccessibile a chiunque non sia attrezzato a dovere e non disponga di una super jeep modificata in grado di tenere le strade che sotto tutta quella neve semplicemente si annullano.
Fotografare Landmannalaugar ammantata di neve sotto il sole splendente all’una del pomeriggio si è rivelato troppo complicato e, data l’unicità del luogo e dell’esperienza, non nascondo infatti di essere rimasto deluso con me stesso per non aver saputo tirare fuori uno scatto convincente (dentro di me speravo di trovare nuvole che forse avrebbero facilitato gli scatti); al tempo stesso ancora mi pare così strano essere tornato in quel luogo che mi aveva incantato sotto una veste completamente diversa.

Fiordo del nord

Snæfellsnes

Penisola di Tröllaskagi

Fiordo del nord

Hverfjall

Hverfjall

Landmannalaugar

Reynisfjara

Goðafoss

Goðafoss

Goðafoss

Reykjafoss

Reynisfjara

Reynisfjara

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