Ma queste foto sono mosse!

Sono passati quasi cinque mesi da quel tardo pomeriggio di febbraio in cui ho scattato le seguenti fotografie e ritengo che sia un intervallo di tempo ragionevole per guardare con occhio più critico una propria creazione. Non sono in grado di definire quanto tempo debba trascorrere, se tre mesi o un anno; ad ogni modo, credo che sia indispensabile lasciare i propri scatti a maturare per un po’ di tempo al fine di esaminarli con più lucidità.
Non oso dire oggettivamente, perché non ne sarei in grado; ma, in fondo, chi lo sarebbe? Seppur con un certo grado di distacco dato dal passare del tempo, esisterebbe sempre un legame emotivo con quegli scatti, sufficiente a condizionarmi quel tanto che basta.
In questo senso la fotografia chimica ha avuto una notevole influenza su di me da quando mi sono affacciato a quel mondo fatto di attesa, che insegna a ragionare e allo stesso tempo aiuta a non perdere, bensì spesso ad aumentare il coinvolgimento (e forse il divertimento) con la scena.

Non ho una grande esperienza con le fotografie intenzionalmente mosse, il cosiddetto mosso creativo; un po’ perché alla lunga mi stanca, ma se preso con moderazione riconosco in esso un grande fascino e un po’ perché nel mio caso lo vedo più come una sorta di ripiego nel momento in cui gli scatti normali della giornata non sembrano avere tanto successo.

Non è stato il caso di quel pomeriggio; venti minuti prima, infatti, avevo appena scattato quella che, a pensarci, rimane la mia fotografia preferita a Sirmione, che evidenziava la allora drammatica condizione del lago e allo stesso tempo rivelava uno scenario di forme e colori che mai avrei sognato di trovare tempo prima. Per la cronaca, fortunatamente al momento attuale il livello del lago è tornato ad aumentare.

Uno degli aspetti che più mi esaltano in merito alle fotografie mostrate in questo post è il contrasto che le caratterizza e non mi riferisco solamente alla staticità e nitidezza dell’una, contrapposta al movimento, quindi alla dinamicità delle altre oppure all’obiettivo utilizzato (grandangolare nel primo caso, tele nel secondo).
Parlo soprattutto del contrasto tra l’una che vale più come fotografia che documenta una particolare situazione (che mi auguro non si ripeta più) e le altre intese invece come fotografie espressive. Inoltre, apprezzo anche che questi scatti mossi non siano in alcun modo riconducibili a Sirmione a un occhio esterno, che non sapesse dove sono state fatte. Potrebbe trattarsi di ciascun luogo, mare, lago e questo alone di mistero che avvolge e caratterizza gli scatti di questo genere volto più all’espressione che alla documentazione ammetto che mi conforta, poiché mi ricorda che con la giusta disposizione d’animo non occorre allontanarsi di tanto per trovare il bello.

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Ritratto kazako

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Un gradito ritrovamento