Ricordi dal Po

Era circa un anno fa quando mi interessai per la prima volta al lavoro di Michael Kenna, noto fotografo inglese, sul fiume Po. Un viaggio attraverso regioni e paesaggi diversi, dalle pendici del Monviso fino all’incontro con il Mar Adriatico.
Già avevo abbastanza familiarità con i suoi scatti, dentro i quali mi perdevo volutamente e tuttora continuo a farlo, sedotto da quei toni così profondi e ricchi di suggestione da smuovere corde interne. Celebri in particolare i suoi scatti dall’isola giapponese di Hokkaido, dalla sua Inghilterra o ancora dall’Isola di Pasqua (e molti altri che non sto a menzionare), ma probabilmente sto cominciando a divagare.
Un anno fa, dicevo, lessi che il nostro caro Kenna aveva visitato più e più volte il Po nel corso degli anni al punto da dedicare al fiume un intero libro.
Il lettore adesso potrebbe aspettarsi che nelle seguenti parole io descriva con quale foga mi recai in libreria a comprare il libro, ma temo di deluderlo, perché per mesi entrai nella medesima libreria e ci passai davanti senza mai comprarlo. Semplicemente lo tenevo in mano e guardavo l’immagine in copertina. Allora mi bastava, non mi sentivo pronto per il resto, forse perché sapevo che con la mente ero altrove e se l’avessi comprato, probabilmente sarebbe rimasto chiuso nel cellophane per giorni o settimane o al più se l’avessi aperto avrei semplicemente sfogliato alcune pagine senza continuità e, considerando il rispetto che ho per Kenna, il quale ci invita a seguirlo nel suo percorso, questa cosa mi avrebbe dato fastidio. Così facendo, rischiavo però di non trovarlo più nel momento in cui finalmente mi fossi deciso ad acquistarlo, battuto sul tempo da un’altra persona e quindi avrei dovuto cercarlo online. Per fortuna, il libro era sempre al suo posto, immacolato nel suo strato protettivo.
In realtà, anche se non lo comprai subito, già mi erano passate davanti agli occhi su internet alcune fotografie tratte da quell’opera, quindi un poco la conoscevo, però credo che siamo tutti d’accordo su quanto drasticamente cambi la percezione di una fotografia quando la si guarda su uno schermo e quando invece stampata su carta.

Da quella scoperta il mio interesse per il Po crebbe esponenzialmente, non certo per ricreare i suoi scatti, ma per conoscere innanzitutto un’area che non dista lontano e poi anche per uscire da quella poco produttiva fase di ristagno in cui ero caduto da qualche tempo e in cui sono ricaduto successivamente, ma mi fermo prima di digredire nuovamente.
Abituato a rincorrere cieli sognanti o drammatici, come alcuni hanno l’abitudine di chiamare, lungo il Po ho invece trovato un paesaggio molto più pacifico, non per questo meno affascinante. Guidare per quelle strade di aperta campagna accanto alle quali vedevo volare aironi e con poche costruzioni ad eccezione di qualche cascina o traliccio sparso qua e là (che differenza con la provincia di Brescia, dove sempre più campi vengono sacrificati per lasciar spazio a edifici di dubbio gusto!) si è rivelata un’esperienza così piacevole che più volte da allora mi sono ripromesso di tornarci e dopo la prima visita in primavera così ho fatto anche in autunno e inverno. Mi manca l’estate ma rimedierò.

Durante la mia seconda visita avvenuta a metà ottobre dello scorso anno ebbi l’enorme piacere di incontrare Michael Kenna in persona in occasione della sua mostra riguardante il fiume. Ancora fatico a crederci perché lo vidi per ben due giorni consecutivi.
Inutile dire quanto fossi emozionato e incapace di proferire frasi di senso compiuto per esprimergli quanto significato avessero per me le sue fotografie. Dato che la fila di persone era lunga e il tempo concesso era poco, giusto quella manciata di secondi che seguivano la sua firma sul libro (che nel mio caso non era quello sul Po, che finalmente mi ero deciso a comprare poco prima, ma “Immagini del Settimo Giorno” grazie a cui conobbi i suoi lavori per la prima volta), mi limitai solamente a ringraziarlo e a dirgli che l’esibizione era stata “outstanding”. Allora egli alzò lo sguardo e con occhi sorridenti mi ringraziò a sua volta. Me ne rendo conto, devo dare l’impressione di una di quelle fan scalmanate in piena epoca Beatlemania nel momento in cui incontrava i suoi beniamini e ricordava qualsiasi loro gesto, ma sono cose che difficilmente si dimenticano. Che cosa ci posso fare?

Credo che a questo punto si possa dedurre facilmente che il suddetto fotografo sia tra le mie maggiori fonti di ispirazione, non tanto per il bianco e nero, in quanto tendo a privilegiare il colore (almeno in ambito digitale), quanto per l’approccio meditativo che precede, accompagna e segue uno scatto. Inoltre, è stato tra coloro che più mi hanno invogliato a provare la bellezza della pellicola.
Un anno e mezzo fa infatti è stata ritrovata in casa una vecchia fotocamera a pellicola di famiglia, una medio formato 6x6 (uno dei formati più amati da Kenna stesso e da altri grandi fotografi) con cui ho cominciato a divertirmi fin da subito, nonostante per lungo tempo faticassi a ritenermi soddisfatto dei risultati.
Sempre durante quella visita ebbi modo anche di esplorare maggiormente l’area in cui mi trovavo rispetto a quanto feci la prima volta (documentata qui), visitando alcuni degli stessi luoghi di Kenna e segnandomene altri nei dintorni, dove tornare non appena ci fossero state le condizioni desiderate.

Arriviamo dunque alla mia terza e più recente visita nel mese di gennaio, che ancora conservo nella mente con grande piacere. Quasi tre giorni interi a inseguire atmosfere suggestive, nebbie mattutine, riflessi sfumati sull’acqua con in mano solamente la fotocamera e tre rulli 120 in bianco e nero.
Uno degli aspetti che più mi piacciono della fotografia a pellicola è la sua lentezza e per chi proviene dal digitale come il sottoscritto penso sia una differenza spiazzante. Nel mio caso passa non meno di una settimana prima di poter vedere i negativi sviluppati e questo mi consente di osservarli con occhio più critico e di notare più facilmente eventuali difetti. In generale per quanto mi riguarda il coinvolgimento emotivo è di gran lunga maggiore.
Questo significa che d’ora in poi scatterò quasi esclusivamente a pellicola? Direi di no, però sicuramente vorrò ancora andare in giro così come ho fatto a gennaio, evitando qualsiasi distrazione digitale e godendomi a pieno il momento.

Dietro le quinte di alcuni scatti:

Zeiss Super Ikonta 531/16 con 75mm f/3.5 Tessar

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