Un fiume psichedelico

Grazie alla fotografia in questi ultimi anni ho avuto l’occasione di visitare luoghi vicini e lontani che difficilmente avrei visitato se non fosse stato per puro interesse fotografico e che hanno contribuito a plasmare la persona che sono oggi; inoltre, ho cominciato a guardare il mondo con molta più curiosità e volontà di lasciarmi stupire anche da quei piccoli dettagli, spesso ignorati, che invece sono parte integrante della bellezza che ci circonda. Potrei dire, dunque, che la fotografia ha definito il mio modo di essere.

Uno degli ambienti più affascinanti e al contempo più strani che io abbia mai avuto modo di vedere è sicuramente il Río Tinto, un fiume situato nella regione spagnola dell’Andalusia, dove mi sono recato per qualche giorno alla fine di maggio. Il suo nome, che significa “fiume rosso”, deriva dall’elevata concentrazione di ferro (principalmente), zolfo, rame e diversi metalli disciolti che rendono questo fiume un caleidoscopio di colori. Allo stesso tempo, però, lo rendono anche estremamente acido e tossico, al punto che per gran parte del suo corso la vita non sembra possibile. Solamente verso la foce nei pressi di Huelva, quando confluisce insieme al fiume Odiel nel Golfo di Cadice, riprende a essere un luogo dove la vita pullula e si rinnova, grazie alla salinità del mare che contrasta e neutralizza l’acidità del fiume. In realtà, anche nei suoi primi kilometri a partire dalla sorgente, situata poco a nord della cittadina di Nerva, la vita c’è, anche se non la possiamo vedere a occhio nudo. Infatti, sono stati ritrovati dei batteri estremofili che riescono a sopravvivere in assenza di ossigeno in condizioni tanto estreme; ciò ha attirato l’attenzione di numerosi ricercatori, tra cui quelli della NASA, che dal punto di vista biochimico considerano questo ambiente quello più prossimo a Marte (maggiori approfondimenti qui).

Facendo un riferimento classico, questo fiume mi fa pensare al Flegetonte, uno dei fiumi dell’oltretomba descritto nella mitologia greca come un fiume di fuoco e ripreso anche da Dante, che nell’Inferno lo descrive invece come un fiume di sangue bollente, nel quale sono gettati i violenti contro il prossimo.

Arrivato in aereo a Siviglia, che decido di lasciare come ultima tappa di questo breve viaggio di quattro giorni e ritirata la macchina, parto subito in direzione di Nerva e di Minas de Riotinto, dove si trova il Parque Minero de Riotinto, che illustra la storia di quest’area già conosciuta e sfruttata dalle popolazioni antecedenti ai Romani, a partire addirittura da 5000 anni fa.
Qui, infatti, si trova una delle più grandi miniere a cielo aperto, la cui vista diretta fa spalancare immediatamente la bocca.

Da notare il camion e le persone che vi stanno accanto nella parte alta dello scatto per farsi un’idea della grandezza e della profondità della miniera. Dalla posizione in cui ero non era possibile vedere il fondo.

Fotografare il Río Tinto è stato più difficile di quanto immaginassi; non pensavo ovviamente che una volta puntato l’obiettivo lo scatto si facesse da solo, ma trovare composizioni che mi soddisfacessero ha richiesto più visite spalmate in due giorni anche negli stessi luoghi; però, questo è ciò che rende più personali queste fotografie. Inoltre, muovermi in cerca di uno scatto, indagando le forme bizzarre e gli accostamenti di colori del fiume è stato un esercizio visivo molto divertente, nonostante il sole cocente di fine maggio dell’Andalusia.
Montato sul 70-200mm, ho sempre adoperato un filtro polarizzatore, indispensabile non solamente per togliere i riflessi e restituire trasparenza all’acqua, ma anche per risaltare quei colori intensi che altrimenti verrebbero completamente persi sotto la luce diurna.

Non pratico spesso i mossi creativi o intenzionali, però in questo caso ho pensato che potessero essere una opzione diversa e allo stesso tempo interessante.

Poco a nord del Parque Minero de Riotinto si trovano dei bacini artificiali, alcuni attraversati dalla strada, altri invece accessibili solamente agli addetti ai lavori. Così, ho approfittato per far volare il drone sopra i primi quando ormai il sole cominciava ad abbassarsi e le ombre si allungavano. Se da terra non avevo la minima percezione dei differenti colori dei due bacini, dall’alto invece lo scenario cambiava radicalmente.

Infine, ho dedicato gli ultimi due giorni alla visita della città di Siviglia. Ormai avevo già fatto quello che mi interessava fare con il Río Tinto, almeno per questa volta; così, mi sono divertito molto a girare per le strade del casco di Siviglia e a conoscere persone, percependo così un’atmosfera elettrizzante che ancora adesso mentre scrivo dopo quasi una settimana dal mio ritorno strappa un largo sorriso sul mio volto. Perciò, annovero questi ricordi tra i più preziosi del viaggio.

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